Adorazione Eucaristica

IVª Domenica di Pasqua - Anno “B” -

 

SAC. “Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore.” (Colletta)

 

G. Il buon pastore conosce le sue pecore ed esse conoscono lui, «come il Padre conosce me e io conosco il Padre». È una conoscenza profonda, reciproca, interpersonale che riflette la più intima unione possibile, quella esistente tra le persone del Padre, del Figlio e dello Spirito in seno alla vita trinitaria. Questa è la sorgente che attirerà al vero ovile di Cristo le pecore che ancora non vi appartengono e le renderà attente e capaci di riconoscere la sua voce, la voce di colui che dona la propria vita per la salvezza di tutti.

 

 “Io sono il buon pastore, dice il Signore,conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.”

+  Dal Vangelo secondo Giovanni: (Gv 10,11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Parola del Signore.

 

Pausa di Silenzio

 

G. Dio ama ciascuno di noi non a gruppi, ma personalmente. Gesù oggi usa parole delicatissime: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. V’è una reciproca comunione di conoscenza e d’amore. “Dio ama ciascuno come fosse l’unico”, dice sant’Agostino. Ogni singolo individuo Dio chiama ad essere “figlio nel Figlio”, a entrare in quel giro singolarissimo di rapporti che intercorrono tra il Padre e il Figlio Unigenito in seno alla Trinità: appunto “come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Il rapporto è diretto, da persona a persona, carico dell’affettività sincera e totalizzante che deriva dal sentirsi amato con totalità. E’ un rapporto trasformante, che mira a conformarci al Figlio per avere parte con lui nella vita Trinitaria, fino a divenire “simili a lui”.

 

Tutti

 

Dal Salmo 117: La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti. Rit.

Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi. Rit.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre. Rit.

Pausa di Silenzio

La prima lettera di Giovanni ci parla oggi di conoscenza: «Il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui». C’è un senso nel quale i cristiani sono noti nella società, hanno un’identità sociologica ben definita, agiscono in essa come un’organizzazione tra le altre, obbediscono alle stesse dinamiche politiche ed economiche e incorrono nelle stesse mancanze, sono preda della stessa corruzione generata dal potere politico ed economico.

Non è una sorpresa se, sotto questo punto di vista, il mondo spesso giudica il cristianesimo con severità. C’è anche però un senso nel quale «il mondo non ci conosce», c’è qualcosa nell’identità cristiana che si percepisce solo da un punto di vista specifico. Ed è certo che mentre il male fa rumore, il bene resta discreto, agisce senza attirare l’attenzione.

Ciò vale non solo per l’immensa opera educativa, sociale, civilizzatrice condotta dai cristiani in tutto il mondo, ma soprattutto per quello che la fede cristiana opera nelle persone: il cambiamento del cuore, il perdono, la conversione, la preghiera.

Queste cose non si vedono. Il vangelo stesso afferma che la preghiera cristiana si svolge «nel segreto», vale a dire dove nessuno se non il Padre può esserne testimone. Certo, anche queste realtà hanno una loro visibilità, si lasciano intravedere, ma il loro vero impatto resta invisibile.

Quanto afferma Giovanni, però, non vale solo per «il mondo», cioè per chi ci circonda. Ciò che la Scrittura chiama «mondo», cioè questa forza che ignora Dio o gli resiste, non ci è estranea. Anche come cristiani, anche conoscendo Dio, continuiamo a far parte di questo mondo anche noi, continuiamo ad esserne complici. 

Questo possiamo verificarlo anche solo riflettendo sul modo nel quale guardiamo a noi stessi, sulla conoscenza che abbiamo di noi stessi come cristiani. Si tratta di uno degli aspetti più fondamentali della nostra  maturità non soltanto spirituale, ma anche umana e affettiva.

A un primo livello, affermare che «il mondo non ci conosce» vuol dire che anche la parte di noi stessi che resta complice del mondo, non ci conosce. Chiediamoci per esempio se e come apprezziamo le nostre capacità.

Anche come cristiani restiamo preda di insicurezze, di sfiducia in noi stessi, siamo tentati di sottovalutarci o di ritenerci inutili. Siamo incapaci di renderci conto del nostro errore di prospettiva, di apprezzarci adeguatamente, perché non percepiamo le nostre capacità come doni, cioè come qualcosa che emerge davvero solo nella misura in cui ci mettiamo a disposizione, ci doniamo a nostra volta. Per riconoscere ciò di cui siamo veramente capaci abbiamo bisogno degli altri.

Scopriamo le nostre vere doti solo incoraggiati dal gruppo al quale apparteniamo, a condizione naturalmente che in esso non regnino competitività o indifferenza, ma rispetto e amore reciproco. Ognuna delle nostre comunità cristiane, a partire dalla famiglia, dovrebbe essere caratterizzata da questa costante ricerca della valorizzazione di ognuno dei suoi membri.

Un secondo livello di conoscenza di se stessi è quello della consapevolezza del proprio peccato. Non è semplicemente psicologico, ma spirituale, perché possiamo conoscere il nostro peccato solo alla luce della misericordia di Dio. Infatti, solo quando il peccato è perdonato da Dio prendiamo coscienza della sua vera portata e della sua gravità.

Lasciati a noi stessi, siamo sempre tentati di giustificarci: accettiamo magari di aver sbagliato, ma restiamo prigionieri dell’istinto di considerarci superiori, migliori, o comunque sempre tentati di vedere il torto o il male negli altri.

Ma vi è ancora un terzo livello di conoscenza di sé, quello del nostro vero valore, di ciò che davvero ci rende unici e preziosi. Esso, per Giovanni, è nel nostro essere amati, desiderati, voluti: «Carissimi, vedete quale grande amore».

Questo valore è qualcosa che non bisogna soltanto sapere da un punto di vista teorico, ma che si constata, si sperimenta, si vede. «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre».

Questo riferimento al Padre fa eco a Paolo: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo».

Prima ancora non solo della nostra nascita, ma che apparisse il nostro universo così come lo conosciamo, già il Padre aveva un progetto, un disegno, non solo collettivo, ma su ciascuno di noi. «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente».

Questo disegno era di farci diventare suoi figli. Il Figlio è diventato nostro fratello e nostro cibo per unirci a lui, in modo tale che in lui potessimo anche noi chiamare il Padre «Abbà».

E perché questo diventasse vero interiormente, abbiamo ricevuto in dono lo stesso Spirito che è nel cuore del Padre e del Figlio e che, come ci dice ancora Paolo, nei nostri cuori grida: «Abbà, Padre!». Solo in questa luce capiamo davvero in che senso il mondo non ci conosce e la parte del mondo che è in noi non ci conosce.

È, dice Giovanni, «perché non ha conosciuto il Padre»: solo diventando consapevoli del disegno del Padre sull’umanità e su ciascuno di noi ci riconosciamo come figli. In questo risiede la nostra vera identità, il nostro valore più autentico.

In questa luce dovremmo progressivamente imparare a valutare noi stessi, mettendo in secondo piano la nostra posizione nella società, il prestigio che ci è conferito dalle nostre capacità, dal nostro lavoro e dalle nostre attività. Queste cose non vanno certo sottovalutate. Esse sono fondamentali per la costituzione della nostra identità.

Per sapere chi siamo abbiamo bisogno del riconoscimento che ci ottengono le nostre riuscite personali e sociali. Ma pur non sottovalutando questo aspetto della nostra identità, dobbiamo saper mantenere un minimo di distanza rispetto ad esso.

Se tutto il senso della nostra vita dipendesse solo da questo aspetto esteriore, da quello che conosce il mondo, nel caso dovesse venir meno crollerebbe con esso il senso della nostra vita.

Per questo Giovanni ci invita a cercare il nostro vero valore a un livello più profondo, cioè nella nostra identità di figli di Dio, alla quale accediamo solo se conosciamo il Padre e se la lasciamo costantemente crescere, espandersi in noi.

Se è vero infatti che, come dice Giovanni, «fin da ora siamo figli di Dio», questa relazione speciale con il Padre è destinata a crescere, ci sono aspetti della nostra identità che ancora devono svelarsi a noi. Sappiamo che «quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è».

Ci è promesso che saremo simili a Dio, simili a Gesù, che anche noi diventeremo capaci dello stesso amore, della stessa mitezza, dello stesso perdono, della stessa saggezza che Gesù dimostra nei vangeli.

Non sarà il risultato dei nostri sforzi ma un dono che accoglieremo nella misura in cui «lo vediamo così come egli è», nella misura in cui lo conosciamo, dimoriamo con lui, lo seguiamo, ci lasciamo precedere da lui, ci lasciamo amare e consolare da lui.

Questo è allora il segreto più profondo della vita cristiana: imparare a conoscerci come ci conosce il Padre, guardarci non in uno specchio che ci rinvia solo la nostra immagine, ma riflettendoci nel volto del Figlio e lasciandoci progressivamente, pazientemente trasformare dal suo sguardo su di noi. (L.Gioia)

Tutti

Signore Gesù,

noi ti ringraziamo

perché la Parola del tuo Amore

si è fatta corpo donato sulla Croce,

ed è viva per noi nel sacramento

della Santa Eucaristia.

Fa’ che l’incontro con Te

Nel Mistero silenzioso della Tua presenza,

entri nella profondità dei nostri cuori

e brilli nei nostri occhi

perché siano trasparenza della Tua carità.

Fa’, o Signore, che la forza dell’Eucaristia

continui ad ardere nella nostra vita

e diventi per noi santità, onestà, generosità,

attenzione premurosa ai più deboli.

Rendici amabili con tutti,

capaci di amicizia vera e sincera

perché molti siano attratti a camminare verso di Te.

Venga il Tuo regno,

e il mondo si trasformi in una Eucaristia vivente. Amen.

  Canto:

Pausa di Silenzio

 

Dice Gesù: «Il mercenario vede venire il lupo e fugge, perche non, gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore».

Se completiamo questa frase, sulla bocca di Gesù risuonano queste parole: al mercenario no, ma a me, pastore vero, le pecore importano. Tutte. Ed è come se dicesse a ciascuno: tu sei importante per me. Questa e la certezza: io gli importo.

A Dio l’uomo importa, importa al punto, che Dio considera ogni uomo più importante di se stesso; per questo da la sua vita. La sua vita per la mia vita.

Ricordate il grido degli apostoli in una notte di tempesta: «Signore, non ti importa che moriamo?», e il Signore risponde placando le onde, sgridando il vento: sì, mi importate, la tua vita, mi importa, tu sei importante per me.

E lo ripete a ciascuno: mi importano gli uccelli dell’aria ma voi valete più di molti passeri; mi importano i gigli della terra ma tu conti più di tutti i gigli del mondo; ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel cuore.

Questa è la certezza: a Dio importo. Per lui io sono importante. A questo mi affido anche quando non lo sento e sono colpito dal suo silenzio, a questo mi affido anche quando non lo vedo e c’è solo buio attorno a me.,

Il pastore buono non sta bene fino a che non sta bene ogni sua pecora. Il Dio di Gesù Cristo non sta bene nei cieli fino a che ogni suo figlio non sta bene sulla terra, e allora discende, si coinvolge e si fa dono, lotta, respiro.

«Io sono il pastore buono» è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure questo nome non ha nulla di remissivo, di debole: è il pastore forte che si erge contro i lupi, è colui che ha il coraggio di non fuggire, il cuore di lottare, la generosità per rischiare tutto.

Il testo greco dice letteralmente: io sono il pastore bello. Ma noi capiamo che la bellezza del pastore non dipende dal suo aspetto esteriore, ma che il suo fascino, la sua forza di attrazione vengono dal suo coraggio, dal suo impeto, dalla sua generosità.

La bellezza del pastore sta in un gesto che oggi il Vangelo ripete per cinque volte: il gesto di offrire. Che cosa offre il pastore? «Io offro la vita», e qui siamo davanti al filo d’oro che lega insieme tutta intera l’opera di Dio.

Il lavoro di Dio è da sempre e per sempre offrire vita. E non so immaginare per noi avventura migliore: Gesù non è venuto, a portare un sistema di pensiero o di regole, ma a offrire più vita; e il suo regno sarà incremento, accrescimento, il fiorire della vita in tutte le sue forme.

Cerchiamo di capire meglio. Con queste parole, «Io offro la vita», Gesù non intende per prima cosa la sua morte in croce, perche, se ora il pastore muore, le pecore sono disperse e il lupo rapisce, uccide, vince.

Dare la vita è inteso nel senso della vite che dà linfa ai tralci; è dare le cose che fanno vivere: vi do il mio modo di amare, di lottare, di sentire, perche solo con un supplemento di vita potremo battere i lupi che amano la morte, i lupi di oggi.

Siamo tutti pastori di un pur minimo gregge, la nostra famiglia, gli amici, coloro che si affidano a noi. A loro ripetere: tu sei importante, tu incontro di un giorno o di tutta una vita, tu mi importi.

Ma dirlo con i fatti: dare la vita per noi concretamente significa prima di tutto dare del nostro tempo, che è la cosa più preziosa.

Una frase nel Piccolo principe di Saint-Exupéry dice: «La rosa e importante perche le dai tempo». Dare tempo, attenzione, occhi negli occhi, ascolto attento, non distratto. Questo è dire a una persona: tu mi importi.

Signore, tu sei il pastore bello. E tu sai che quando noi diciamo a uno: tu sei bello, è come dirgli: io ti amo. Tu, il solo pastore che per i cieli ci fa camminare. (E.Ronchi)

Tutti

Non sono degno, Signore,

che tu entri nella mia casa.

Vedi bene che c'è del disordine.

Non è pronta ad accoglierti.

Avrei voluto per te un ambiente più ospitale

e prepararti qualcosa di gustoso, per trattenerti.

Sono impreparato e perciò ti confesso:

non son degno che tu entri!

Mi piacerebbe tanto che, come facesti una volta

con Zaccheo, tu dicessi anche a me:

«oggi devo fermarmi a casa tua».

Non ardisco sperarlo, non oso domandarlo.

Vedi, Signore: la porta è aperta,

ma la casa non è pronta!

Almeno così a me pare. E a te?

Rimaniamo, ad ogni modo,

a parlare un po' sull'uscio.

È bello ugualmente. Ho delle cose da dirti.

Ho, soprattutto, bisogno di ascoltare

tante cose da te.

Quante vorrei udirne dalla tua bocca!

Ne ha bisogno il mio cuore ferito.

Parla, allora, Signore. Ti ascolto.

La tua Parola è vita per me. Vita eterna. Amen.

( Marcello Semeraro Vescovo di Albano)

Pausa di Silenzio

Canto:

Meditazione silenziosa

Padre Nostro

 

G. Conosco la tua voce, Signore Gesù, e non posso confonderla con quella dei mercenari, con quella di chi mi viene incontro solo perché ha scopi ben precisi da realizzare. La tua voce reca il timbro dell'amore: tu non cominci col chiedere, ma con l'offrire. Conosco la tua voce, Signore Gesù, e posso identificarla subito tra mille altre perché tu parli al mio cuore con la misericordia. Chi più di te riesce a vedere dentro la mia esistenza, riesce a scorgere tutto il bene e tutto il male che c'è? Eppure tu continui a mostrarmi benevolenza, compatisci le mie infermità, le mie piccinerie. Conosco la tua voce, Signore Gesù, e non smetti di stupirmi per la fiducia che mi dimostri, tu che continui a servirti di gente come me, tu che inviti ognuno a fare la sua parte per il Regno. Ogni volta mi meraviglio perché, invece di ricorrere ai forti e ai sapienti, tu sembri prediligere i deboli e i piccoli, per spegnere l'orgoglio e far apparire in ogni cosa non la nostra bravura, ma la tua grandezza. Conosco la tua voce, Signore Gesù, e per questo ti affido la mia esistenza. Tu, che sei il buon pastore, conducimi lungo i sentieri della vita.

 

Tutti

Preghiera per le vocazioni sacerdotali

Obbedienti alla tua Parola, ti chiediamo, Signore:

“manda operai nella messe”. Nella nostra preghiera, però,

riconosci pure l’espressione di un grande bisogno:

mentre diminuiscono i ministri del Vangelo,

aumentano gli spazi dov’è urgente il loro lavoro.

Dona, perciò, ai nostri giovani, Signore,

un animo docile e coraggioso perché accolgano i tuoi inviti.

Parla col Tuo al loro cuore e chiamali per nome.

Siano, per tua grazia, sereni, liberi e forti;

soltanto legati a un amore unico, casto e fedele.

Siano apostoli appassionati del tuo Regno,

ribelli alla mediocrità, umili eroi dello Spirito.

Un’altra cosa chiediamo, Signore:

assieme ai “chiamati”non ci manchino i “chiamanti”;

coloro, cioè, che, in tuo nome,

invitano, consigliano, accompagnano e guidano.

Siano le nostre parrocchie segni accoglienti

della vocazionalità della vita e spazi pedagogici della fede.

Per i nostri seminaristi chiediamo perseveranza nella scelta:

crescano di giorno in giorno in santità e sapienza.

Quelli, poi, che già vivono la tua chiamata

- il nostro Vescovo e i nostri Sacerdoti -,

confortali nel lavoro apostolico, proteggili nelle ansie,

custodiscili nelle solitudini, confermali nella fedeltà.

All’intercessione della tua Santa Madre,

affidiamo, o Gesù, la nostra preghiera.

Nascano, Signore, dalle nostre invocazioni

le vocazioni di cui abbiamo tanto bisogno. Amen.

(+ Marcello Semeraro Vescovo di Albano)

 

 

Canto: Tantum Ergo


Tantum ergo Sacramentum

Veneremur cernui

Et antiquum documentum

Novo cedat ritui

Praestet fides supplementum

Sensuum defectui.

Genitori Genitoque

Laus et jubilatio

Salus, honor, virtus quoque

Sit et benedictio.

Procedenti ab utroque

Compar sit laudatio.


 

 

V Hai dato loro il pane disceso dal cielo.

R Che porta con sé ogni dolcezza.

 

Concedi, O Dio Padre, ai tuoi fedeli di innalzare un canto di lode
all' Agnello immolato per noi e nascosto in questo santo mistero, e fa' che un giorno possiamo contemplarlo nello splendore della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elevazione del Santissimo Sacramento e Benedizione Eucaristica. 

Al termine: Acclamazioni:

Dio sia benedetto.

Benedetto il  Suo Santo Nome.

Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo.

Benedetto il Nome di Gesù

Benedetto il suo Sacratissimo Cuore.

Benedetto il suo Preziosissimo Sangue.

Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.

Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Benedetta la gran Madre di Dio, Maria Santissima.

Benedetta la sua Santa ed Immacolata Concezione

Benedetta la sua gloriosa Assunzione.

Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Benedetto San Giuseppe suo castissimo sposo.

Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

 

 

 

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