Adorazione Eucaristica

Vª Domenica di Pasqua - Anno “B” -

 

SAC. “O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna.” (Colletta)

 

G. La Liturgia di queste Domeniche pasquali ogni anno ci propone brani dal Vangelo secondo Giovanni, in particolare dai discorsi di Gesù nella Cena. Sono testi in cui, a più riprese, Gesù si autorivela: «Io sono...». Di per sé questo è il nome indicibile e santo di Dio e, dunque, Gesù sta rivelando la sua realtà divina. Oggi dice: «Io sono la vera vite». L’immagine è ricorrente nella Scrittura dall’Antico al Nuovo Testamento. La vite e la vigna è il popolo di cui Dio si prende cura amorosa e sempre, anche quando essa non corrisponde alle sue premure. Gesù è la vite che porta frutto abbondante e buono; in Lui anche i suoi fratelli, cioè noi, possiamo portare molto frutto a condizione che “rimaniamo in Lui”.

 

 “Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,chi rimane in me porta molto frutto.”

+  Dal Vangelo secondo Giovanni: (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore.

 

Pausa di Silenzio

 

G. Gesù è riuscito a sintetizzare tutto quanto detto sopra con una splendida immagine: la vite e i tralci. Ogni affermazione della odierna pagina evangelica è profonda e densa di significato. Il vignaiuolo è il Padre. La vite è Gesù. I tralci siamo noi. L’uomo dei campi guarda la sua vigna con gli occhi dell’amore. Essa è la sua opera d’arte e la pensa come fonte della sua speranza. La lavora e la protegge, la difende dai predatori e su di essa costruisce la sua vita. Così Cristo guarda e protegge noi, come frutto del suo amore, come speranza quotidiana.

Tutti

 

Dal Salmo 21: A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.

Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre! Rit.

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno 
tutte le famiglie dei popoli. Rit.

A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere. Rit.

Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!». Rit.

Pausa di Silenzio

«Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità». Non ci si può confrontare con questo invito senza provare resistenza interiore e trepidazione. Malgrado il nostro desiderio di corrispondervi restiamo incapaci di gestire relazioni nelle quali amare e perdonare è diventato penoso.

Restiamo prigionieri di un’indolenza invincibile quando l’amore si scontra con i nostri pregiudizi sociali o culturali. Temiamo che amare ci conduca a perdere il controllo della nostra vita. Di fronte all’invito di Giovanni dunque saremo sempre in difetto.

Per fede sappiamo di aver ricevuto in dono la libertà di amare, ma malgrado tutti i nostri sforzi non potremo evitare di ripetere l’esperienza dei grandi santi che alla fine della loro vita hanno confessato di essere sommersi dalla consapevolezza di quanto poco avessero amato.

Avevano certo amato, ma erano coscienti delle loro omissioni e dei loro compromessi, sapevano che avrebbero potuto amare di più. Per questo, secondo Giovanni, la più grande tentazione di fronte a questa presa di coscienza è quella di mentire al nostro cuore.

Ecco perché, proprio dopo aver formulato questo invito che esprime l’essenza della vita cristiana, ci mette in guardia contro due insidiose deviazioni spirituali e ci rivela le terapie per affrontarle.

Le due deviazioni sono così espresse: la prima è che «il nostro cuore ci rimprovera» e la seconda che «il nostro cuore non ci rimprovera nulla». Si tratta da una parte dell’autopunizione e dall’altra dell’auto giustificazione.

Il primo atteggiamento - «il nostro cuore ci rimprovera», cioè l’autopunizione - è sbagliato perché ogni forma di colpevolizzazione è una menzogna, è l’esatto contrario del pentimento autentico.

Ogni volta che siamo tentati di scambiare la colpevolezza per pentimento ci basta confrontarci con i criteri di discernimento offerti dalla parola di Dio per smascherarla.

La Parola ci rivela che il pentimento è autentico solo se è accompagnato dai frutti dello Spirito Santo enumerati da Paolo in Galati, soprattutto «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza!».

Essi valgono prima di tutto nei nostri confronti, illustrano cosa voglia dire amare se stessi in Dio: non condannarsi, non giudicarsi, non abbattersi, non scoraggiarsi, ma volersi bene - la benevolenza - , essere pazienti con se stessi - la pazienza -, restare nella gioia, nella pace che infonde nel nostro cuore la consapevolezza di essere amati e perdonati dal Padre.

Se «il nostro cuore ci accusa» non è perché siamo pentiti, ma perché coltiviamo disistima di noi stessi e scrupoli che ci rendono amari, ansiosi, ci chiudono in noi stessi e paradossalmente ostacolano l’accoglienza del perdono autentico.

Queste forme di auto rimprovero sono l’esatto contrario dei doni dello spirito: invece della gioia generano in noi tristezza, invece della pace il turbamento, invece della pazienza l’esasperazione, invece della benevolenza l’autopunizione.

Scrupolo e colpevolezza sono pericolosi perché crediamo che ci stimoleranno a correggerci, mentre in realtà ci opprimono e lentamente ci uccidono.

Una delle immagini più eloquenti per esprimere la differenza tra la colpevolezza e il pentimento è la seguente: la colpevolezza è ciò che avviene quando mi guardo allo specchio e non mi piaccio, e quindi è una forma di egoismo, di narcisismo.

Il pentimento, invece, è ciò che appare quando distolgo lo sguardo da me stesso e incrocio quello del Padre, come ci mostra Giovanni quando appunto ci rivela la sola terapia efficace contro la colpevolezza: «Anche se il nostro cuore ci dovesse rimproverare, ricordiamoci che Dio è più grande del nostro cuore».

La terapia per vincere il male che c’è in noi, l’egoismo e la pigrizia che ci impediscono di amare, non è l’autopunizione, ma lasciarci perdonare dal Padre – non una, non dieci, non cento, ma «settanta volte sette», vale a dire sempre!

Ciò che ci guarisce è soprattutto lasciarci conoscere dal Padre, cioè conoscere noi stessi in lui! È quanto esprime Pietro alla fine del Vangelo di Giovanni: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo».

Pietro vuole dire: «Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti ho tradito, ti ho rinnegato tre volte. Tu sai quanto sono incostante. Tu sai quanto vorrei amarti e non ci riesco. Non posso nasconderti niente. Tu sai tutto, e sai che malgrado questa mia debolezza io ti amo».

«Tu sai»: questo sapere del Signore è paterno e materno, non ci condanna, non ci opprime - conosce, certo, la nostra debolezza, ma non la giudica.

La seconda deviazione spirituale poi denunciata da Giovanni consiste nell’atteggiamento opposto: «Il nostro cuore non ci rimprovera nulla», cioè l’auto giustificazione. Vi è infatti una grande differenza tra la colpevolezza di cui abbiamo parlato finora e l’autentica consapevolezza del proprio peccato.

Se ci accontentiamo di non fare del male a nessuno, vuol dire che ci stiamo misurando non con l'esigenza del vangelo, ma con una nozione di equità che abbiamo fabbricato noi stessi per giustificare i nostri rifiuti di amare, i nostri egoismi, le nostre paure, le nostre pigrizie.

Anche questa seconda deviazione spirituale Giovanni la smaschera solo per offrirci la terapia che ci permette di guarirla, vale a dire la fiducia in Dio: «Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio».

Possiamo non temere di riconoscerci deboli, incapaci, egoisti o pigri, possiamo non avere paura di diventarne consapevoli con lucidità, serenità e coraggio solo se non ci guardiamo allo specchio, ma guardiamo Dio, solo se mettiamo la nostra fiducia non in noi stessi, ma in Dio, vale a dire nel suo amore e nel suo perdono.

«Sono buono, non perché posso convincermi di essere buono, ma perché so che il Signore mi rende buono, costantemente, con il suo perdono».

«Sono giusto non perché non commetto mai nessun peccato, o perché posso convincermi di non commettere mai nessun peccato, ma perché il Signore costantemente mi perdona, mi giustifica, mi rende giusto».

Così l’invito di Giovanni ci conduce all’appello che Gesù ci rivolge nel vangelo di oggi: «Rimanete in me e io in voi». Come rimanere in Gesù? Come sentire che Dio rimane in noi?

Semplicemente, come propone Giovanni, sapendo che Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa, cioè non guardandoci allo specchio, ma guardando al Padre, non fidandoci della nostra colpevolezza, ma lasciandoci conoscere da Dio. Poi rimaniamo in Gesù avendo fiducia in lui, cioè non mettendo la nostra fiducia in noi stessi.

Per vincere le due tentazioni dell’autopunizione e dell’auto giustificazione, siamo invitati a scoprire la presenza di Gesù in noi attraverso i doni del suo spirito, i segni inconfondibili della sua azione: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé». (L.Gioia)

Tutti

Signore Gesù,

noi ti ringraziamo

perché la Parola del tuo Amore

si è fatta corpo donato sulla Croce,

ed è viva per noi nel sacramento

della Santa Eucaristia.

Fa’ che l’incontro con Te

Nel Mistero silenzioso della Tua presenza,

entri nella profondità dei nostri cuori

e brilli nei nostri occhi

perché siano trasparenza della Tua carità.

Fa’, o Signore, che la forza dell’Eucaristia

continui ad ardere nella nostra vita

e diventi per noi santità, onestà, generosità,

attenzione premurosa ai più deboli.

Rendici amabili con tutti,

capaci di amicizia vera e sincera

perché molti siano attratti a camminare verso di Te.

Venga il Tuo regno,

e il mondo si trasformi in una Eucaristia vivente. Amen.

  Canto:

Pausa di Silenzio

 

Stupendo brano di Giovanni, dove Gesù fa piazza pulita di tante scorie di fede stantia, di tanti pesi inutili caricatici sulle spalle.

Vangelo dell’assoluto amore, dell’indissolubile amore. Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa.

Lui in me e io in lui, come figlio nella madre, come madre nel figlio. Indipendentemente da ciò che faccio o non faccio, dai miei meriti, dalle mie virtù, dai miei sbagli.

Dice: «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato». Siamo già puri solo per intervento suo, per la sua parola.

Il Vangelo entra e spazza via tutte le cose sbagliate, immature, puerili che ho pensato, che ho detto, che ho fatto. Siamo liberi dal senso di colpa, resi ala leggera per poter volare al soffio dello Spirito.

Questo a una sola condizione, che non è un condizionamento, ma la base della mia esistenza: nutrirmi della sua stessa linfa. «Rimanete in me».

«Voi in me e io in voi». E non sono parole astratte, sono le parole che usa anche l’amore umano. Rimanere insieme dei due che si amano, nonostante tutte le distanze e tutti gli inverni, nonostante le forze che ci trascinano via. Resta con me.

Come si fa? Ebbene, non è difficile. Il primo passo è fare memoria, che tu sei già in lui, che lui è già in te. Non devi inventare niente, non devi costruire nulla. Soltanto mantenere ciò che è già dato.

Prendere consapevolezza che c’è una energia che scorre in te, che proviene da Dio, che non viene mai meno, alla quale puoi sempre attingere. Tu devi solo aprire strade, aprire canali a questa linfa.

Chi vive in campagna avrà notato che all’inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa limpida, che luccica sulla punta del ramo.

Quella linfa, quella goccia d’amore che tante volte ho visto brillare e tremare sulla punta del tralcio potato, mi parla di me e di Dio: mi dice che c’è un amore che sale dalle radici del mondo, che mi raggiunge e mi attraversa.

C’è una vita che viene da prima di me, viene da Dio e va in amore, va in frutti d’amore. E io sono come vite in perenne primavera. E dice a me, piccolo tralcio: ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di miele.

Il centro di questo brano è nel termine frutto. «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto».

Il dono della potatura... Potare non significa amputare, ma dare vita, ogni contadino lo sa.

E significa anche dare orientamento, ordine, anche porre dei limiti e dire dei no. Ma rinunciare a tutto ciò che è superfluo equivale a fiorire.

Sono inaccettabili per me quelle interpretazioni che leggono le potature come le sofferenze portate dalla vita. Come se il dolore fosse amico dell’uomo, fosse un bene. No, non è così.

Gesù è sempre semplice nel suo parlare e non mi chiede astrazioni o cose complicate. Mi chiede: va’ in una vigna e osserva le viti.

Io vado e guardo una vigna abbandonata. Questa sì un’immagine di sofferenza.

La vite non potata soffre, si aggroviglia su se stessa, cade dal palo, si allunga in tralci sempre più esili e arruffati, si ammala, dà pochissimi acini aspri, perfino le foglie sbiadiscono.

La vite potata invece è bella e rigogliosa, le foglie sono grandi e di un verde brillante, sta eretta e riesce così a non perdersi neanche un raggio di sole, che convoglia nei suoi grandi grappoli gonfi di acini, pieni di succo.

Esplode di vita, è tracimante di una gioia di vivere che anche altri gusteranno. Nessuna vite sofferente dà buon frutto. Prima di tutto devo essere sano io, gioioso io. Così Dio mi vuole.

È come se Gesù dicesse: non ho bisogno di sacrifici ma di grappoli buoni, non ho bisogno di sofferenze ma che tu fiorisca.

Infatti il Vangelo termina con queste parole: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto».

Il nome nuovo della morale, secondo il Vangelo, è fecondità; gloria,di Dio è il frutto buono, un frutto buono che ha il gusto di tre cose sulla terra: amore, libertà e coraggio.

Non c’è amore senza libertà, libertà non c’è senza coraggio. E amore, libertà e coraggio sono la linfa e i frutti buoni di Dio in noi. (E.Ronchi)

Tutti

Non sono degno, Signore,

che tu entri nella mia casa.

Vedi bene che c'è del disordine.

Non è pronta ad accoglierti.

Avrei voluto per te un ambiente più ospitale

e prepararti qualcosa di gustoso, per trattenerti.

Sono impreparato e perciò ti confesso:

non son degno che tu entri!

Mi piacerebbe tanto che, come facesti una volta

con Zaccheo, tu dicessi anche a me:

«oggi devo fermarmi a casa tua».

Non ardisco sperarlo, non oso domandarlo.

Vedi, Signore: la porta è aperta,

ma la casa non è pronta!

Almeno così a me pare. E a te?

Rimaniamo, ad ogni modo,

a parlare un po' sull'uscio.

È bello ugualmente. Ho delle cose da dirti.

Ho, soprattutto, bisogno di ascoltare

tante cose da te.

Quante vorrei udirne dalla tua bocca!

Ne ha bisogno il mio cuore ferito.

Parla, allora, Signore. Ti ascolto.

La tua Parola è vita per me. Vita eterna. Amen.

( Marcello Semeraro Vescovo di Albano)

 

Pausa di Silenzio

Canto:

Meditazione

Preghiere spontanee

Padre Nostro

 

G. Nell’ascoltare la tua parola oggi ho sentito, o Signore, tutta la tua intensa commozione che provasti nell’invitare i tuoi apostoli durante l’ultima tua cena ad essere una sola cosa con te e tra loro. Quel «rimanete in me ed io in voi» è una vibrazione del tuo amore ed ha il significato di «dimorare in te e tu in noi». Fa’ davvero, Signore, che io prenda dimora dentro di te giacché ti appartengo come membro vivente. del tuo corpo. Fa’ davvero, Signore, che abbia sempre viva la certezza che anche tu dimori in me giacché non puoi vivere lontano da me. Dimoriamo insieme sempre, o Signore, perché ci apparteniamo l’uno all’altro, costituendo insieme il mirabile mistero del tuo corpo mistico, della tua santa Chiesa.  (A. Dini)

Tutti

Preghiera per le vocazioni sacerdotali

Obbedienti alla tua Parola, ti chiediamo, Signore:

“manda operai nella messe”. Nella nostra preghiera, però,

riconosci pure l’espressione di un grande bisogno:

mentre diminuiscono i ministri del Vangelo,

aumentano gli spazi dov’è urgente il loro lavoro.

Dona, perciò, ai nostri giovani, Signore,

un animo docile e coraggioso perché accolgano i tuoi inviti.

Parla col Tuo al loro cuore e chiamali per nome.

Siano, per tua grazia, sereni, liberi e forti;

soltanto legati a un amore unico, casto e fedele.

Siano apostoli appassionati del tuo Regno,

ribelli alla mediocrità, umili eroi dello Spirito.

Un’altra cosa chiediamo, Signore:

assieme ai “chiamati”non ci manchino i “chiamanti”;

coloro, cioè, che, in tuo nome,

invitano, consigliano, accompagnano e guidano.

Siano le nostre parrocchie segni accoglienti

della vocazionalità della vita e spazi pedagogici della fede.

Per i nostri seminaristi chiediamo perseveranza nella scelta:

crescano di giorno in giorno in santità e sapienza.

Quelli, poi, che già vivono la tua chiamata

- il nostro Vescovo e i nostri Sacerdoti -,

confortali nel lavoro apostolico, proteggili nelle ansie,

custodiscili nelle solitudini, confermali nella fedeltà.

All’intercessione della tua Santa Madre,

affidiamo, o Gesù, la nostra preghiera.

Nascano, Signore, dalle nostre invocazioni

le vocazioni di cui abbiamo tanto bisogno. Amen.

(+ Marcello Semeraro Vescovo di Albano)

 

Canto: Tantum Ergo


Tantum ergo Sacramentum

Veneremur cernui

Et antiquum documentum

Novo cedat ritui

Praestet fides supplementum

Sensuum defectui.

Genitori Genitoque

Laus et jubilatio

Salus, honor, virtus quoque

Sit et benedictio.

Procedenti ab utroque

Compar sit laudatio.


 

V Hai dato loro il pane disceso dal cielo.

R Che porta con sé ogni dolcezza.

O Padre, che nella morte e risurrezione del tuo Figlio hai redento tutti gli uomini, custodisci in noi l'opera della tua misericordia, perché nell'assidua celebrazione del mistero pasquale riceviamo i frutti della nostra salvezza. Per Cristo nostro Signore.

Amen

 

Elevazione del Santissimo Sacramento e Benedizione Eucaristica.  Al termine: Acclamazioni:

Dio sia benedetto.

Benedetto il  Suo Santo Nome.

Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo.

Benedetto il Nome di Gesù

Benedetto il suo Sacratissimo Cuore.

Benedetto il suo Preziosissimo Sangue.

Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.

Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.

Benedetta la gran Madre di Dio, Maria Santissima.

Benedetta la sua Santa ed Immacolata Concezione

Benedetta la sua gloriosa Assunzione.

Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.

Benedetto San Giuseppe suo castissimo sposo.

Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.

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